venerdì 18 novembre 2011

“Give me Everything Theory…without Nazi uniformity!”

Sono passati pochi giorni dall´insediamento di Mario Monti e del suo esecutivo che gli studenti sono giá scesi in piaza per la Giornata mondiale dello studente e, con grande sconcerto della schiera di entusiasti per questo governo tecnico, hanno dichiarato di non "fidarsi di loro". Ma come? Il fior fiore degli economisti del paese arriva al potere e loro continuano a non fidarsi? Pensandoci bene, come poter dar loro torto? Dopo diciotto anni di governo di Berlusconi, deregulation varie, attacchi continui allo stato sociale (pubblica istruzione in primis) e alle condizioni lavorative (Marchionne docet), si sentiva un po’ il bisogno di rinnovameno.

Al contrario é arrivato un governo tecnico imposto dall’esterno, forte non di un consenso popolare, ma di curriculum imbevuti di liberismo economico. Non dimentichiamo d’altra parte che Mario Monti ha guadagnato grande rispetto a Bruxelles soprattutto in qualità di Commissario UE per la concorrenza. Disqusire sul futuro operato del governo scatenerebbe soltanto una lunga discussione ideologica che, al momento, é meglio evitare. Meglio concentrarsi sulla forma con cui questo governo é stato prima nominato, poi legittimato non dal popolo, ma dal riconoscimento degli altri governi. Con tutti i problemi che questo comporta, visto che, non essendo legittimato da una consultazione popolare, di converso non potrà mai essere nemmeno delegittimato. Non potrà quindi mai sentirsi vincolato da quel sistema di “responsiveness” che Carl Joachim Friedrich metteva alla base del corretto funzionamento dell’ordinamento democratico. La rotella fondamentale che consente al popolo votante di influenzare attraverso la propria opinione l’operato dei governanti. Perché, come dice Giovanni Sartori, “la democrazia rappresentativa è governata, ma (….) è con altrettanta chiarezza democrazia”.
A proposito di Sartori, convinto sostenitore della democrazia liberale: di fronte alla situazione attuale non può che venire in mente quella sua distinzione fra democrazia “governo dell’opinione” e tecnocrazia, “governo del sapere”. Governare significa decidere anche su questioni di carattere “etico” e in questo campo nessuno può considerarsi più competente di altri. Prendiamo ad esempio il campo dell’energia: un governo tecnico propenderà (e già si è mosso in questa direzione, se vogliamo dar credito al neo-Ministro per l'Ambiente Corrado Clini) per l’energia nucleare: più pulita (eccezion fatta per le scorie da nascondere con il beneplacito di qualche organizzazione mafiosa o da rivendere a paesi del Terzo Mondo), più efficiente. Una democrazia invece sarebbe chiamata al dover prendere in considerazione anche l’opzione etica (non nel senso qualificativo del termine) della decrescita felice, della rinuncia all’incremento costante della produzione energetica, costi quel che costi.

Eccolo qua, l’equivoco che caratterizza i giorni nostri: la nomina UE del governo tecnico liberista in uno Stato sovrano non può che essere considerato come un’interruzione della democrazia. Necessaria, affinchè essa prosegua il proprio percorso sulla strada designata. Quella liberista. Non vengono poste sul tavolo le faccende sostanziali del sistema: ad una questione di carattere “etico” si preferisce far ricorso a “cure tecniche” degli anelli deboli del sistema. In attesa del prossimo malato da curare.
In tutto ciò, la sinistra ha di fronte a sé una grande finestra di opportunità che rischia di perdere clamorosamente, se non smette di volersi scarcare ossessivamente da Berlusconi. Ha di fronte a sé la possibilità di ritrovare la propria anima, riconquistando un campo che gli spetta di diritto. Perché, come sostiene Gad Lerner, “rifiutare l’ineluttabilità dei diktat che piovono sull’Italia da una altrove lontano e fare i conti con lo strapotere della finanza, diventano per la sinistra priorità non rinviabili. Pena il ripudio della sua missione storica.”

3 commenti:

  1. Eccoci qua! Bel post tanto per cominciare, un'inizio in grande stile direi!
    Ma andiamo al succo della questione: questo governo mi vede molto dubbioso.
    Da un lato di fronte al disastro economico, alla ancora più disastrosa situazione parlamentare e alla inconsistenza dei leader politici sono convinto che un governo di tecnici fosse l'unica via percorribile. In larga parte perché la sinistra è profondamente disorganizzata (leggi non c'è un leader credibile ne una parvenza di unità programmatica), oltre che spaventata, il che rende le elezioni un discreto salto nel vuoto.
    Inoltre c'è una parte di me che al suono di "tecnocrazia" e "governo del sapere" ulula di gioia al pensiero degli ultimi 20 anni di vuoto.
    E' la stessa parte di me che ad una democrazia preferirebbe l'utopia di un "governo dei saggi" di Platonica memoria.
    Tuttavia la situazione mi inquieta, non so è come se ci fosse un'aura sinistra intorno a tutto ciò. La sensazione sempre più tangibile è che davvero il governo di tecnocrati non sia votato al superamento della crisi (intesa nel più ampio dei significati) ma piuttosto al perpetuarsi della condizione di "crisi perpetua" (no phun intended) che ha caratterizzato il capitalismo degli ultimi 50 anni (se non tutto).
    Insomma la sensazione è che si voglia dare l'idea di cambiare tutto, per far rimanere tutto sempre uguale...

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  2. Grande Abyss! primo commento, grazie mille!
    Non sai quanto capisca il tuo punto di vista, dopo 20 di Berlusconi un "governo di filosofi" può sembrare il paradiso! Ed in effetti la democrazia italiana negli ultimi anni ha fatto un po' cilecca nella sua vocazione di "selezione del migliore" (leggevo una Amaca di Serra che qualcuno aveva postato da qualche parte poco tempo fa in cui faceva riferimento a questa presunta vocazione democratica della scelta del migliore...) La questione che si solleva però secondo me è di sostanza: una democrazia ideale dovrebbe prevedere la possibilità di cambi di rotta, quantomeno di dibattito al proprio interno. Avrebbe dovuta essere questa la bandiera vittoriosa del blocco occidentale nella sua battaglia contro quello sovietico. Eppure la tanto sbandierata libertà si riduce, in ultima analisi, all'interno di un ventaglio di opzioni che, in condizioni di crisi, diventa addirittura ridottissimo. Se poi pensiamo che, da quando son nato, ho sempre sentito parlare di crisi, qualche dubbio mi inizia a nascere. Per questo son piuttosto d'accordo con la tua conclusione: cambiare "tutto", per far rimanere tutto uguale...insomma, libertà un po' di facciata.

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  3. macché tutto uguale: forse nessuna parte politica vuole l'impopolarità delle misure che dovranno (o vorranno?) prendere.... prepariamoci a restare in mutande.

    Qualcuno l'ha già ribattezzato "governo Full Monty".... vai con lo strip!

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